I LAVORATORI VINCONO! (EDITORIALE)
A CATANIA BARATTIAMO
Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo Napolitano e Antonio Montella hanno vinto.
I cinque operai della Fiat di Pomigliano d’Arco licenziati nel 2014 finalmente possono ritornare al loro posto di lavoro. In fabbrica. Sono stati reintegrati. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Napoli. Una sentenza clamorosa.
Non sappiamo cosa pensa o cosa farà Marchionne – non ci fidiamo, non ci siamo mai fidati – ma hanno vinto e tanto basta per il momento. Sono stati due anni duri. Intensi. Con conflitti, presidi, manifestazioni di solidarietà e di lotta, processi. Due anni lunghissimi per le famiglie che forse si sarebbero potuti evitare se il tribunale di Nola per due volte non avesse dato ragione a Marchionne… la persona offesa!
Ma offeso dde che? È risaputo che durante le manifestazioni di protesta la satira la fa da padrone. Costruire un fantoccio con la faccia di Marchionne e impiccarlo al palo davanti al reparto non mi pare una tragedia. Mi sembra invece tragico ciò che Marchionne fa sulla pelle di tutti gli operai. E lì non scatta nessuna querela, esposto o denuncia.
Per il momento ci godiamo la vittoria, mi sembra una bella boccata di ossigeno.
Un significato di questa vicenda potrebbe essere che uniti si vince. Un altro ci ricorda che il diritto a manifestare è un diritto sancito dalla costituzione. La nostra costituzione. Quella dei padri costituenti. Quella dei partigiani. Quella antifascista. Quella democratica. Quella che difenderemo col referendum.
NON ERA LA MIA FESTA DELL’UNITÀ
A Catania l’11 settembre abbiamo avuto la conclusione della festa nazionale dell’unità. C’è stata una manifestazione contro.
Il corteo si apriva con lo striscione “CACCIAMO RENZI” che accoglieva tantissimi insegnanti, e dopo c’erano, dietro il loro striscione, gli attivisti No Muos.
Tra i due spezzoni di corteo, non era difficile vederlo, un considerevole gruppo di poliziotti in abiti civili e in divisa. Lo stesso alle spalle del corteo. La parte più consistente aspettava all’arrivo. Armati come non mai.
È finita come sappiamo ed è stato un finale che ha oscurato tutto ciò che di positivo c’era alle spalle. Per esempio il numero di partecipanti. Non c’erano le masse oceaniche, qualcuno parla di settecento, altri di mille, ma a Catania, una città soporifera da tutti i punti di vista, dove le diatribe, i conflitti, le dispute, anche sulle virgole, regolano i rapporti fra le varie associazioni e a volte anche dentro le stesse, scendere in piazza col tempo che non prometteva nulla di buono è stato notevole. E non era solo il tempo che non prometteva nulla di buono. Da più parti avevano fatto sapere che le varie forze dell’ordine, Digos, polizia, erano pronte a tutto. In numero e in armamenti.
Manco lo sbarco in Normandia ha visto tanto!
Una militarizzazione e un clima di allerta straordinaria e sproporzionata che durava già da due settimane.
Ma a tutti quei relatori, massimi esponenti del governo e del piddì nazionale, cosa avrebbero potuto fare oltre che fischiarli?
A parte quei 20 soggetti vestiti di nero che hanno occupato la testa del corteo negli ultimi 50 metri, erano tutti inermi cittadini, per lo più insegnanti, pensionati, cardiopatici e bambini. La carica con i manganelli! ASSURDO.
«Ero presente e con me mia figlia», scrive subito su fb Monica Foti. «Dissento da quello che oggi ho visto sia dalla una che altra parte. Però mi rivolgo alla polizia la quale non può continuare ad infierire su due giovani per terra prendendoli a manganellate e non possono dirmi “Ma lei avvocato non si vergogna a stare con loro?”. Di cosa mi dovrei vergognare? Di nulla io intervengo perché non posso girare gli occhi e far finta di non vedere. Una pagina brutta».
«Siete davvero convinti che fosse necessario? Siete davvero convinti che chi fa politica si debba barricare tra scorte, schieramenti e perquisizioni?», si chiede Graziella Priulla su fb, «… negli anni di piombo vivevo a Torino, e gambizzavano, e sparavano per strada quasi ogni giorno. Se ne facevano, di feste di partito; ma non è mai venuto in mente a un leader di sinistra di barattare la democrazia con la sicurezza».
È stata una vergogna per la polizia – che è anche addestrata a circoscrivere, delimitare, isolare il gruppetto, gli scriteriati. Una vergogna per Bianco e Renzi verso i quali la protesta era ed è più forte e più sentita.
È stata una conclusione “strategica”? È tutta colpa di quei venti ceffi vestiti di nero che nulla avevano a che fare col corteo? Oppure hanno veramente paura?
Pertini non avrebbe avuto paura. Ingrao non avrebbe avuto paura.
Intanto a Catania:
A Catania, i conti fanno acqua da tutte le parti, il comune dovrà fare altri debiti e alla chetichella stanno cercando di vendere alcuni immobili che fanno parte nel bene e nel male del patrimonio pubblico.
La Quinta sezione della Cassazione ha annullato con rinvio a un altro gup di Catania la sentenza di “non luogo a procedere” emessa il 21 dicembre scorso per Ciancio.
Non è un problema di manette o non manette…
« …questa realtà, a prescindere dal rinvio a giudizio», dichiara Claudio Fava durante una intervista «mette in stato d’accusa tutta la città: tutti coloro che hanno saputo e hanno taciuto, gente che ha ritenuto in questi anni di considerare la continuità, l’affinità con Ciancio – inteso come editore ma anche come imprenditore – vedendolo come una risorsa preziosa a prescindere da tutto quello che nel frattempo era accaduto e stava accadendo, fino all’ultima vergognosa telefonata tra Ciancio ed Enzo Bianco, candidato sindaco, in cui c’è davvero il segno della subalternità politica e culturale di una generazione politica catanese nei confronti di questo uomo e di ciò che questo uomo rappresenta, al di là del fatto che poi venga o meno condannato o assolto».