La Politica del Sogno e della Speranza
Editoriale di Graziella Proto
È successo. Lo sapevamo, ma... speravamo che non fosse così. La produttività viene prima di tutto!
L’operaio aveva chiesto di poter lasciare la catena di montaggio per andare alla toilette ma aveva ricevuto solo dinieghi. L’operaio ha insistito ancora per andare in bagno, ma per troppo tempo gli è stato vietato, alla fine se l’è fatta addosso. Dentro i pantaloni.
Una umiliazione che lascia senza parole. Non ci sono interventi sindacali che la possano alleggerire. Non c’è solidarietà che la possa eliminare.
Non siamo dentro un romanzo di Dickens. È accaduto alla SEVEL di Chieti uno stabilimento della FCA - ex Fiat. Da troppi anni ormai i ritmi e i carichi produttivi hanno subito un aumento smisurato nel silenzio assordante della politica, della… fretta, della velocità, del decido io da solo; del sindacato, forse troppo debole… forse troppo distratto… probabilmente messo da parte… spesso.
Insomma è successo che queste operazioni a favore della produttività e contro i lavoratori sono state accolte come un fatto positivo. Come una opportunità che li potesse favorire.
Ma davvero per un attimo abbiamo pensato che l’aumento della produttività grazie ai sacrifici dei lavoratori potesse portare a una ridistribuzione della ricchezza alla collettività?
Ma abbiamo dimenticato chi è Marchionne? La sua politica?
Certamente dentro la ‘questione lavoro’ ci sta di tutto, da Monti, alle riforme sul lavoro, al Jobs Act, alla cancellazione dell’articolo 18. (Pur di abolirlo hanno tentato di farci credere che questo articolo fosse l’ideologia per antonomasia).
Eppure, in questo episodio dai risvolti tristissimi, antichi, totalitari e dispotici, non vedo la giusta indignazione. Non vedo la rabbia. Non ci si incazza. L’assurdo e l’impensabile si fondono.
Succede anche che molti oppressi guardino a destra, forse fidandosi, forse lasciandosi comprare… sicuramente molto delusi. I giovani per lo più disoccupati o sottoccupati che attraverso il referendum di dicembre hanno manifestato la loro rabbia e la loro sofferenza, non si organizzano verso una lotta sociale unitaria. Come se mancasse il collante. L’ideale comune.
Guardare e preferire le liberalizzazioni, oppure pensare e sperare in un capitalismo più umano, accontentarsi di riformine, finti referendum dentro la fabbrica o, peggio, cercare di capire Renzi o il suo amico Marchionne con le loro politiche, i loro obiettivi ha fatto intravedere un mondo più leggero?
Le donne con i loro movimenti stanno dicendo che bisogna ripartire, nell’impegno e nella lotta. Non UNA di meno, non UNO di meno. Bisogna sbracciarsi, svegliarsi dal torpore e ritornare alla collettività. Al bene comune. Al ‘tutti insieme si può’. Non si può continuare a tollerare… al peggio non c’è fine.
Ribelliamoci alla politica che non risolve i problemi estendendo la democrazia; ai nostri ministri – cari ragazzi che avrebbero voluto giocare con la delega ai servizi segreti o che invitano al calcetto – salvati, salvatori, da salvare. Intrecci e intrallazzi non ci portano da nessuna parte, ritorniamo a fare politica: la politica che dà risposte per fare uscire dalle povertà, per i disoccupati, per gli immigrati.
La politica della speranza e del sogno.
Certo il periodo non lascia intravvedere nulla di tutto ciò, troppe divisioni, dispersioni, protagonismi… una ragione in più per non rimanere alla finestra a guardare.
Io sono già in pista.