LeSiciliane n 66 - Leo Gullotta ricorda l'Amico Pippo Fava

Graziella Proto intervista Leo Gullotta per ricordare Pippi Fava.

5 gennaio 2021 Leo Gullotta ricorda l’amico Pippo Fava

Graziella Proto

Come una scolaretta mi ero preparata le mie belle domande da fare, ma il ciclone Gullotta mi ha stravolto tutto il progetto. Ed è stato bellissimo. Dammi del tu, mi dice subito dopo avermi scherzosamente rimproverato per sei minuti di ritardo (!!???) e da lì l’attore, vulcanico come il nostro vulcano siciliano, è esploso con una colata di ricordi. Di Pippo Fava. Di lui. Della loro lunga amicizia. Io ogni tanto cercavo di intervenire come potevo in questa amichevole chiacchierata… Ma mi sembrava un peccato interromperlo, soprattutto in alcuni passaggi in cui l’enfasi e la forza che ci metteva era tale da non permettere intromissioni. Grande Leo.

Con Pippo Fava eravate amici. Così a freddo qual è il tuo primo ricordo appena nomino Pippo?

Sia tu che io abbiamo avuto il grande piacere di conoscere una persona speciale come amico. Una persona che ci ha stimolato a fare meglio, a capire sempre meglio la società e il prossimo. Non solo, ci ha insegnato a sorridere. Era un insieme suo quello di avere un sorriso dentro, poi era l’artista che era. Il pittore che era. Il romanziere o il commediografo che era. Il giornalista che era. Tuttavia era un bambino… soprattutto quando trovava il piacere di incontrare nella vita l’amicizia. Teneva molto alla amicizia.

Come lo hai conosciuto?

Tanti e tanti anni fa ebbi la fortuna di conoscerlo e con lui sono cresciuto. Avevo 15/16 anni, eravamo al teatro stabile di Catania – già lavoravo all’interno di quella struttura professionale – un giorno arrivò un suo primo lavoro, poi ne arrivarono tanti altri e ne sono stato interprete. Appena lo vedevi sembrava una persona dura, ma superati i primi quindici secondi era una persona dolcissima, la più dolce di questo mondo soprattutto nel luogo di lavoro, perché doveva spiegare, e felicissimo di vedere una sua opera in scena. Questo il primo ricordo, poi ne sono venuti tantissimi altri non soltanto di lavoro ma anche di amicizia. Praticamente sono cresciuto con lui dai 15 anni in poi – l’inizio del rapporto allo Stabile – fino a 21/22 anni circa. Erano altri tempi sia come rapporto con il prossimo sia per quello che avevi attorno – anche poco, a dire il vero, avevi attorno. Io venivo da un quartiere popolare, quindi il linguaggio – anche se con età completamente diverse – fra me e lui era alla pari, ci si ritrovava. Sono nato e cresciuto al “Fortino”, diciamo uno di quei quartieri a rischio allora come oggi o viceversa oggi come allora. Tante volte Pippo mi ha accompagnato a casa. Chi nasce in quartieri particolari o con problemi, quartieri dove la vita ti si pone davanti a forza, la vita la capisce un poco meglio… dopo. Lì per lì ti sembra la cosa più ovvia del mondo. E lui in tutto questo mi ha sempre dato una via, oltre mio padre operaio pasticciere, però, con la mente molto aperta. Mio padre era una persona impegnata, è fra quelli che hanno portato la Cgil a Catania. Io sono l’ultimo di sei figli, nella mia famiglia il rapporto con la vita, con i temi, era importante. Mio papà fin da piccolo con parole semplicissime mi ha insegnato i valori della vita: rispettare sempre il prossimo – in tutte le sue formule – e non essere attaccato al denaro. Tutto questo me lo ha spiegato quando ero ragazzino. Pippo che incontrai anni dopo mi faceva lo stesso discorso di papà mio. Mi diceva le stesse cose. Aveva lo stesso sorriso semplice e autentico che veniva dal profondo dell’anima. E questo me lo ha fatto diventare subito persona cara, persona amica, persona con la quale sono cresciuto. Fava si divertiva nelle sue partitelle di calcio, a me il calcio non è mai piaciuto ma mi divertivo ogni tanto a vederlo giocare, perché era combattente vero come lo era nell’animo.

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Io ascoltavo in religioso silenzio. Quella voce a volte suadente a volte impostata come quando ci si trova su un set mi affascinava. Timidamente, tanto per dire che c’ero, dico:

Tu dici che vi siete incontrati allo Stabile di Catania e che avevi 15/16 anni. Come eri arrivato al Teatro stabile così ragazzino? Anche Pippo era abbastanza giovane. Episodi particolari?

Una serie di circostanze, intanto dobbiamo portare tutto alla fine degli anni ’50 inizio ’60, a quella Catania, a quella Italia in cui si ricostruiva. Dove non c’erano divisioni di nessun genere né interni né esterni, né primo piano né ultimo piano. Si lavorava ovunque dal nord al sud dell’Italia, si lavorava per ricostruire il paese dopo la guerra. Erano anni in cui si costruiva, si lavorava tutti con un sorriso in bocca. Ci si incontra agli inizi degli anni ’60 per una serie di curiosità, allora non era come oggi. Come ti dicevo io venivo dal quartiere “Fortino”, papà ha mandato tutti a scuola per carità, ma… non c’era nulla, non c’era niente di nessun tipo per i ragazzi e per le scuole. A scuola trovai un manifestino dove c’era scritto di un incontro di due mesi, una specie di scuola sul teatro guidato da una persona che veniva dal centro sperimentale di cinematografia di Roma, Ugo Saitta, che diventerà uno dei maggiori documentarista siciliani. Era organizzato dal CUT, Centro Universitario Teatrale. Ero curioso. Sono un uomo curioso, non avevo fuoco sacro, per curiosità mi sono avvicinato a questa porta. Con una serie di universitari che facevano la fila mi sono messo in coda anche io, ma non sapevo nulla. Al mio turno si è aperta la porta e una voce mi chiede: lei cosa ha portato? No, io non ho portato nulla, mi hanno messo davanti l’Adelchi del Manzoni, ho letto un pezzo, dopo di che, grazie, arrivederci. Per me la curiosità era chiusa. Era finita. Punto. Dopo qualche giorno mi hanno chiamato e mi hanno consegnato una lettera. Ammesso assieme ad altri 11 universitari. Io ero ragazzino. Felice e curioso sono andato a lezione. Per circa un mese sono rimasto seduto in sala ad ascoltare, a differenza degli universitari che a giro salivano sul palco, recitavano, facevano dizione, impostavano la voce, e io sempre seduto. Un giorno mi alzo e chiedo il perché. Mi dicono che pensavano che fossi un uditore, è venuto per simpatia? No, sono stato ammesso, e così partecipai. Si preparò il saggio finale. Per me trovarono uno stralcio da Morti senza tomba dì Jean Paul Sartre. Tutto bene. Per me era finita lì ma… col caso, la vita, gli incontri, dopo poco tempo mi telefonò Mario Giusti – che ha guidato per trent’anni il Teatro stabile catanese – mi disse che mi aveva visto durante il saggio e mi propose di partecipare a una opera teatrale di Pirandello, Questa sera si recita a soggetto. Da quel momento in poi allo Stabile ci sono rimasto ben dieci anni. Nel frattempo sono cresciuto, ero diventato insegnante di disegno, ma non ho mai professato, avevo scelto di fare questo mestiere. Sono stato un ragazzino fortunato – non solo per famiglia – perché a 15 anni soprattutto allora era difficilissimo incontrare quella tipologia di persone, Fava, Sciascia, Giusti, Valeria Moriconi e una marea di registi favolosi. Non potevi non assorbire. Ero un ragazzino attento e lentamente ero nella fascinazione e man mano che facevo teatro mi affascinava sempre più. Ero il ragazzino di tutti. Mi chiamavano Gullottino.

Un episodio particolare sull’incontro?

Tantissimi. Ci incontrava spessissimo, veniva in teatro assisteva alle prove, lo stesso quando mi trasferii a Roma. Ci si incontrava, andavamo a mangiare insieme… Non sono importanti i ricordi ma è il valore di ciò che ha lasciato che vale. Ma questo non vale solo per lui, vale per chiunque. Tutti quelli che orbitano nella tua cerchia di frequentazioni, di amicizia… La parola amicizia per Pippo era molto importante. Lo è anche per me.

Lo spettacolo del 2017 al Teatro greco di Catania… forse te lo hanno già detto, sei riuscito a creare una atmosfera magica. Come ci si sente a recitare nella propria terra e interpretando gli scritti di un caro amico?

È stato un mio personale omaggio senza nulla chiedere. Costruendo lo spettacolo vero e proprio. Una serata dedicata al giorno del compleanno di Pippo. Me lo ha chiesto la famiglia, potevo e l’ho fatto. Assieme al regista Fabio Grossi abbiamo condiviso, pensato, creato questo spettacolo ed è stato molto importante.

Ci siete riusciti magnificamente. Sei riuscito a creare una atmosfera magica…

Ho scelto semplicemente dei testi. Poca roba. Quelli che siamo riusciti trovare. Uno del Pippo giovanilista, uno di mezzo e uno degli ultimi. Abbiamo inserito tanti filmati. Quindi abbiamo animato con il pubblico e per il pubblico l’incontro. Non era la prima volta che facevo qualcosa per Pippo con i suoi testi, ma quella invece fu una serata molto molto molto particolare perché costruita volutamente per il giorno di un suo compleanno come se fosse in vita. Come se fosse presente. Con la sua ricchezza, con le sue parole, le sue atmosfere, i suoi filmati e le sue accuse. Di conseguenza venne fuori quella serata. Fu molto segnata. Mi ha segnato. Mi segnò anche se ero stato con Pippo altre volte attraverso i suoi testi. Ma era doveroso farlo.

Ricordi il momento in cui hai saputo dell’omicidio di Pippo? Soprattutto, hai mai pensato che potesse fare quella fine? Ammazzato da un killer con cinque pallottole alla tempia?

Sicuramente un giovinetto 15… 18… 20 anni non lo pensa. Tu sai che il tuo amico ha raccontato per primo la Sicilia, i mafiosi, il luogo dove si nascondono, le cose che fanno, cosa rappresentano alcune città nel ’61, però, non pensi mai il peggio. Proprio perché sei giovinetto alle prese con le tante cose della vita la parola morte non la pensi, anzi dici subito, perché hai cominciato a capire, rompe le scatole, rompe questo filo rouge sotterraneo, a Catania poi… Con tutto ciò che segue… Non volevo crederci, pensavo si sono sbagliati, non è possibile.

Le persone della tipologia di Pippo generano il fatto stesso che si parli, che non si perda mai il filo, che sia sempre presente, che stimoli l’indignazione di questa terra che spesso e volentieri fa spallucce, che è ancora legata a certi principi di servilismo (non tutti). Catania è una città che avrebbe bisogno di riscoprire l’indignazione. Come quasi il resto dell’Italia. Questo non toglie che a Catania ci siano anzi ci sono una marea di persone sane, oneste, libere mentalmente, vogliose di sapere, vogliose di costruire, vogliose di stimolare culturalmente l’individuo.

Ma non si riesce a stare insieme…

È molto antica questa nota (il tono della sua voce è cambiato, direi fosse quasi amareggiato) perché anche di fronte al potere, anche miserevole, sono quasi tutti inchinati per avere (sottolinea Leo con il tono duro e aspro della voce) in cambio qualcosa… Io non devo avere in cambio nulla, io devo cercare di condividere, se la cosa è positiva secondo una mia linea, una di quelle tante linee che Pippo mi ha dato. Ci ha insegnato. Ai giovani parlo sempre di Fava, ovunque mi capiti, scuole, università, ovunque mi invitino. E questa figura la faccio sempre rivivere, nel senso che ne voglio parlare come una persona viva. E ai ragazzi dico: (A questo punto Leo si ferma un attimo, all’audio lo sento commosso ma determinato e scandendo le sillabe aggiunge:) È morto per voi. È morto per me. Ha creduto in una battaglia molto più di quello che voi oggi potete pensare o che ieri i vostri genitori potevano pensare. Dobbiamo saperlo: È morto per me. È morto per voi, non potete e non possiamo fare spallucce. * Il vostro giornale si chiama

LESICILIANE (mi dice salutandomi), mai cosa più importante in questo momento, le donne, i femminicidi, i matriarcati… Per fortuna scrivete, per fortuna sottolineate tutte le stupidate che per esempio scrivono su internet… la terra piatta… Per sentirsi protagonisti… spesso non valgono nulla. Scrivete. Continuate e tanti auguri per il giornale. 

Grazie Leo.

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